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Furibionda’s Run

Ho appena compiuto 30 anni. 
Quanto è egocentrico dedicare una fetta di rubrica a questo evento? 
Per chi mi segue da un po', immagino che risulti normale.
L'anno scorso vi ho spiegato perché detesto il 22 giugno, quest'anno l'ho lasciato passare e mi limito a tirar le somme, senza l'apparente maledizione del compleanno.
E' da quando ho aperto Furibionda che vorrei parlare dei 30 anni, ma non dei miei, di quelli di quanti li vivono come me. 
Fin dai tempi di Friends penso ai 30 anni come qualcosa di lontano, una sorta di traguardo entro cui fare tantissime cose, accumulare esperienze irripetibili, raggiungere obiettivi socialmente accettabili. Poi guardo Joey che urla al cielo “Oh God why?” durante la sua festa di trentesimo compleanno e mi dico: “Sì, farò così”.
La verità, amici del cambio decade e non, è che non sono i 30 anni il problema. 
Faccio, facciamo parte di quella generazione che è stata cresciuta con il mantra del “Studia, soffri, studia ancora e conquisterai il mondo” e a parte una manciata di soddisfazioni, sembra che niente resti tra le proprie dita, ma che sia anzi tutto un irrequieto oscillare tra prevedibili incertezze e sogni soffocati dal quotidiano.
Siamo la generazione che non si fa scoraggiare dalle promesse non mantenute, siamo già troppo disillusi per essere di nuovo fregati, con il tarlo del “Avrò fatto abbastanza?” sempre in agguato, pronto a inserirsi nella testa, ogni qualvolta sperimenti un successo o un insuccesso. 
Ripensando a questa sensazione, domandandomi se sia così solo per me o per qualcun altro, mi è tornato in mente un film un po' più vecchio di me, del 1976, dal titolo Logan's Run.

1498181877 Logan
In un futuro lontano, la Terra è reduce da una guerra nucleare e i pochi uomini sopravvissuti vivono una vita di lusso e piaceri all'interno di una cupola supervisionata da un computer, che li sorveglia sotto ogni aspetto, anche quello riproduttivo, clonandoli per mantenere il controllo delle nascite. E proprio per evitare un sovrappopolamento, tutti devono sottoporsi al rituale del Carousel quando raggiungono l'età di 30 anni, per essere vaporizzati e rigenerati in nuovi cloni. 
Come promemoria della loro data di scadenza, ogni essere umano è fornito di un cristallo inserito nel palmo della mano, il cui colore cambia nel tempo fino a segnalare l'arrivo dell'ultimo giorno di vita. 
Logan 5, il protagonista, è un guardiano che deve premurarsi che la gente non scappi il giorno del Carousel, ma man mano viene sempre più coinvolto in dubbi etici ed esistenziali sul fatto che questo rinnovamento tanto osannato forse non sia la migliore delle scelte per l'umanità.
Per una serie di altre contingenze, si ritrova ad essere a un passo lui stesso dal Carousel e non lo accetta, trasformandosi così in un fuggitivo. 
Qual è il collegamento dunque?
A causa del naturale parallelismo coi 30 anni, come primo istinto vien da chiedersi “Hai 30 anni, hai fatto abbastanza per poter affrontare il Carousel in pace?”, e al di là dell'ovvia risposta, riflettendo meglio ho capito che la vera domanda da porsi è “Posso accettare che la pietra sulla mia mano decreti chi sono e quando sono?”
Perché le gemme hanno un significato sicuramente legato al momento finale del Carousel ma implicitamente la loro influenza è su tutta la vita, uno schema sociale prestabilito e accettato dai più. 
Ma la gemma nella mano è una finzione, una tara pubblica che non corrisponde poi a ciò che è vero, perché alla fine (dopo infinite altre delusioni e disavventure), si scopre che fuori dalla bolla, fuori dal controllo del computer, c'è tutto un mondo intero. Post-apocalittico, distopico, infranto, ma un mondo. E com'è stata scoperta la realtà? Apparentemente fuggendo, ma fuggendo dai propri limiti e da quelli imposti da altri.
Quel che mi ha fatto passare da Joey a Logan è semplicemente che a volte basta solo ricordarsi che, anche se ci sembra di avere una gemma sulla mano che ci dice a che punto dovremmo essere nella nostra vita e da lì non possiamo muoverci, in realtà non c'è nessuna pietra con la data di scadenza che ci impedisce di mirare oltre i nostri confini; perché se non possiamo andare oltre, come possiamo definirci vivi?

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Un commento

  1. Ho avuto anche io una sorta di smarrimento ai miei trent’anni,pensando a quello che la società impone e si aspetta dai trentenni…
    Dopo qualche anno ho mandato tutte queste paranoie a fare in…ci siamo capiti.
    Nè siamo noi i trentenni che c’erano quando sono nate queste aspettative nè è la società ad essere la stessa che ha accompagnato i trentenni venuti prima di noi.
    Qui ci sono i leoni e stiamo tracciando la nostra mappa navigando a vista.

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